IL TRIBUNALE 
 
    Il Tribunale di Tivoli, nella persona  del  Giudice  unico  dott.
Alessio Liberati, nel procedimento iscritto al numero 4651/2012 RG  e
proposto dalla sig.ra Lucia Cristea  nata  a  Telenesti  (MD)  il  25
aprile 1969, rappresentata e difesa dall'avv.  Maurizio  Scattone  ed
elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Carmelo Tripodi,
in Tivoli (RM), via del Lavoro n. 13, giusta delega in atti, attore; 
    Nei confronti del sig. Moreno Panzini, convenuto contumace; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza con la quale si  solleva  di
ufficio questione di legittimita' costituzionale 
 
                              In fatto 
 
    Parte attrice ha citato con atto ritualmente  notificato  innanzi
al tribunale di Tivoli  la  parte  convenuta,  per  ottenere  in  via
principale la condanna alla restituzione  del  doppio  della  caparra
(pari originariamente a 45.000,00, per un totale quindi di  90.000,00
euro) e degli  altri  anticipi  successivi  (pari  a  25.000,00  euro
complessivi) corrisposti  per  l'acquisto  di  un  immobile  sito  in
Canterano, p.za Filippo Antonioni n. 1 (distinto al  catasto  fg.  4,
part. 110, sub 503, part. 112,  sub  503)  per  il  quale  era  stato
stabilito un prezzo di vendita di euro 110.000,00. La somma totale da
restituire all'attore, come dallo stesso richiesta, e' pari quindi  a
115.000,00  euro,  superiore  cioe'  al  valore  dell'affare  stesso,
considerato che quanto corrisposto a titolo di  caparra  deve  essere
restituito nel doppio. 
    In via subordinata  e  condizionata,  l'attore  ha  richiesto  la
declaratoria   di   risoluzione   del   contratto   preliminare    di
compravendita stipulato in data 15 ottobre 2010 e la restituzione  di
quanto corrisposto e del danno subito. 
    Non si e' costituito il convenuto. 
    Alla udienza del 29 marzo 2013, trattandosi di causa documentale,
su richiesta di parte attrice,  la  stessa  e'  stata  trattenuta  in
decisione, senza concessione di termini. 
 
                             In diritto 
 
    Ritiene il tribunale che dagli atti di causa emerga con chiarezza
che  la  somma  fosse  stata   consegnata   a   titolo   di   caparra
confirmatoria, come espressamente stabilito nel contratto preliminare
del 15 ottobre 2010. 
    Sussistono  ad  avviso  del  tribunale   gli   estremi   per   la
restituzione del doppio della caparra confirmatoria ex art. 1385 c. 2
c.c. da parte del convenuto promittente venditore. 
    Giova evidenziare anche che questo stesso tribunale ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale per fattispecie analoga,  ma
in  parte  diverso,  rubricata   nel   ruolo   della   ecc.ma   Corte
costituzionale con il n. 2 del 2013. 
La norma in questione e la sua interpretazione. Impossibilita' di una
interpretazione costituzionalmente orientata. 
    L'art. 1385 del codice civile dispone che «Se  al  momento  della
conclusione del contratto  una  parte  da'  all'altra,  a  titolo  di
caparra, una somma di danaro o una quantita' di altre cose fungibili,
la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata
alla prestazione dovuta. 
    Se la parte che ha dato la caparra a' inadempiente, l'altra  puo'
recedere dal contratto, ritenendo  la  caparra'  se  inadempiente  e'
invece  la  parte  che  l'ha  ricevuta,  l'altra  puo'  recedere  dal
contratto ed esigere il doppio della caparra. 
    Se pero' la parte che non e'  inadempiente  preferisce  domandare
l'esecuzione o la risoluzione  del  contratta,  il  risarcimento  del
danno e' regolato dalle norme generali» 
    Diversamente dall'istituto della  clausola  penale,  disciplinato
dall'art. 1384 c.c., in ipotesi di caparra non e'  dunque  consentito
al giudice di operare la  riduzione  dell'importo  (ipotesi  che  con
riferimento alla clausola penale  la  giurisprudenza  dopo  un  lungo
dibattito  ermeneutico  ha  ritenuto  essere  esperibile   anche   ex
officio), atteso che  il  carattere  eccezionale  della  disposizione
contenuta nell'art. 1384 c.c. ne esclude una applicazione analogica. 
    La  giurisprudenza  e'  granitica  sul  punto  e  non  sussistono
precedenti di senso opposto. Del resto la  tranciante  argomentazione
del carattere eccezionale della disposizione contenuta nell'art. 1384
c.c.,  derivante  dalla  natura  di  fattore  limitante  la  liberta'
negoziale delle parti (ex plurimis Casa. civ., Sez. II,  1°  dicembre
2000,  n.  15391),   non   consente   una   diversa   interpretazione
dell'articolato  normativo,  escludendo  altresi'  l'ipotesi  di  una
interpretazione diversa e costituzionalmente compatibile. 
La quaestio nella fattispecie in oggetto. 
    Nel  caso  di  specie,  come  meglio  precisato  in   fatto,   la
controversia  concerne  un'azione   intentata   per   richiedere   la
restituzione del doppio della caparra  confirmatoria  originariamente
prestata (90.000 euro)  e  degli  ulteriori  acconti  successivamente
corrisposti nelle more della stipula del contratto definitivo, per un
totale di 115.000, euro. 
    Nessun  dubbio  puo'  sorgere  in  merito  alla  natura  ed  alla
qualificazione giuridica della dazione a titolo di caparra, attesa la
chiara espressione utilizzata nel preliminare. 
    Del pari, e' provata la circostanza che il promissario  venditore
non si sia adoperato per la stipula del definitivo, facendo decorrere
il termine stabilito (3 mesi dal 15 ottobre  2010)  senza  addivenire
alla stipula del definitivo, nonostante esplicite diffide. 
    Nella fattispecie la somma complessiva da restituire - pari, come
detto a 115.000,00 euro - e' maggiore del valore stesso  dell'affare,
essendo  stata  promessa  la  vendita  dell'immobile  per   l'importo
complessivo di euro 110.000,00. 
    Cio'  premesso,  resta  un'evidente   sproporzione   dell'importo
pattuito  rispetto  alla  prassi  in  uso  per  analoghe   operazioni
commerciali che impone a questo giudice di valutare se vi siano spazi
applicativi  per  una  eventuale  riduzione  ex  officio  (che,  come
ricordato, e' oggi ammessa  dalla  giurisprudenza  nella  ipotesi  di
clausola penale ex art. 1384 c.c.). 
    La riduzione della penale, tuttavia, per quanto gia' evidenziato,
e' soluzione impraticabile allo stato della normativa (e per costante
giurisprudenza)  stante  la  impossibilita'  di  applicare   in   via
analogica una disposizione di carattere eccezionale che  deroga  alla
liberta' negoziale delle parti. 
    Vi  sono  dunque  elementi  per  dubitare  della   compatibilita'
costituzione della norma di cui all'art. 1385 comma 2 c.c., sotto  il
profilo della ragionevolezza, nella  parte  in  cui  non  prevede  la
possibilita' per il Giudice di  ridurre  la  somma  da  restituire  a
titolo di caparra  confirmatoria  consegnata  dall'acquirente  (o  il
doppio della caparra in caso  di  inadempimento  del  venditore)  ove
manifestamente eccessiva o ove ricorrano giustificati motivi. 
Questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1385  comma  2
codice civile. 
    Si ritiene dunque  di  dover  sollevare  di  ufficio,  in  quanto
rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  la   questione   della
legittimita' costituzionale dell'art. 1385 comma 2 c.c. in materia di
caparra confirmatoria, nella parte in cui non  dispone  che  -  nelle
ipotesi in cui la parte che  ha  dato  la  caparra  e'  inadempiente,
l'altra puo' recedere dal contratto, ritenendo  la  caparra  e  nella
ipotesi in cui, se inadempiente e' invece la parte che l'ha ricevuta,
l'altra puo' recedere  dal  contratto  ed  esigere  il  doppio  della
caparra - il giudice possa equamente ridurre la somma da  ritenere  o
il doppio da restituire in ipotesi di manifesta sproporzione  o  ove,
tenuto conto della natura dell'affare  e  delle  prassi  commerciali,
sussistano  giustificati  motivi.  Va  ricordato,  a   riguardo   del
parametro della irragionevolezza, che la giurisprudenza  della  Corte
costituzionale, in passato, era orientata nel senso di ricondurre  il
principio di ragionevolezza all'interno della previsione dell'art.  3
della Costituzione  che  afferma  -  come  noto  -  il  principio  di
uguaglianza;   di   modo   che    la    norma    irragionevole    era
costituzionalmente   illegittima   in    quanto    apportatrice    di
irragionevoli   discriminazioni.   Come   conseguenza   di   siffatta
impostazione era necessario, per accertare  l'irragionevolezza  della
norma, che fosse individuato il c.d. tertium comparationis. 
    Nel tempo la Corte ha affrancato il principio  di  ragionevolezza
sia dal principio di  uguaglianza,  sia  dalla  ricerca  del  tertium
comparationis, e ne ha poi affermato la violazione anche  in  assenza
di  una  sostanziale  disparita'  di  trattamento   tra   fattispecie
omogenee, allorche' la  norma  presenti  una  intrinseca  incoerenza,
contraddittorieta' od  illogicita'  rispetto  al  contesto  normativo
preesistente o rispetto alla  complessiva  finalita'  perseguita  dal
legislatore. 
    Tale ipotesi appare ricorrere nel  caso  di  specie,  per  quanto
detto sopra. 
    Sotto altro profilo non puo' poi non evidenziarsi come,  rispetto
all'impianto complessivamente  disegnato  nel  codice  del  1942,  la
materia  contrattualistica  abbia  subito  profondi  mutamenti  negli
ultimi  anni,  soprattutto  per  le  influenze  subite  dal   diritto
comunitario. 
    In particolare si sono susseguiti interventi volti ad  assicurare
una equita' oggettiva delle prestazione e del complessivo  equilibrio
contrattuale (anche attraverso la declaratoria di  inefficacia  delle
c.d. clausole abusive). 
    Anche per questa ragione  si  dubita  della  ragionevolezza,  nei
termini sopra indicati, di  una  disposizione  che  non  consente  di
tutelare attraverso rimedi ripristinatori del giudice  (oggi  ammessi
in forma sempre piu' estesa) una evidente sproporzione che porterebbe
ad una restituzione complessiva di  somme  addirittura  superiori  al
valore stesso dell'affare. 
Sulla rilevanza della questione nella fattispecie alla attenzione del
tribunale. 
    Va precisato che la questione che si  sottopone  alla  attenzione
del Giudice delle Leggi e' di assoluta rilevanza per  la  fattispecie
in oggetto. 
    Nel caso di specie  la  questione  di  diritto  appena  descritta
appare  infatti  di  imprescindibile  soluzione  per  la   decisione,
dovendosi determinare la quantificazione della somma da incamerare in
base a disposto normativo la  cui  compatibilita'  costituzionale  e'
messa in discussione per le ragioni che precedono.